La Galleria Eduardo Secci Contemporary
Piazza Goldoni 2, Firenze
www.eduardosecci.com
Date | 15 febbraio – 18 aprile 2020
Opening | 15 febbraio dalle 18:30
Orari mostra | Lunedì – Sabato / 10:00 – 13:30 & 14:30 – 19:00
Mateusz Choróbski (Radomsko, 1987) osserva la realtà circostante e ne traduce ogni aspetto in opere che si esplicitano secondo un’articolata varietà di sistemi linguistici: plastico, video, performativo, installativo. Attingendo a un repertorio iconografico ed iconologico variegato, spesso ispirato alla quotidianità e ai soggetti che ne scandiscono il diluirsi nel corso del tempo (oggetti comuni, materie povere, organismi naturali), esse sono in grado di toccare ogni tratto del sistema percettivo, sollecitando lo spettatore sotto il profilo visivo, intellettuale ed emotivo, rendendolo parte attiva, quasi complice della creazione, tale è il meccanismo che si innesca. A rimarcare tale orientamento contribuisce sia l’umiltà dei materiali adottati, quasi a monito della provvisorietà dell’esistenza e del suo destino a trasformarsi, sia l’essenzialità dei soggetti coinvolti, prossimi all’immaginario collettivo e, pertanto, facilmente identificabili. Tra questi ultimi vi è senza dubbio lo spazio che da sempre mantiene un ruolo centrale nella ricerca di Choróbski.
Questi, infatti, fa da protagonista nella mostra di Firenze ove, invertendo le consuetudini, le sale principali della galleria fanno da preludio alla project room, cuore pulsante dell’intero progetto. Prima di quest’ultima, infatti, si susseguono alcuni lavori esemplificativi della ricerca di Choróbski, ove l’osservazione dei fenomeni fisici e chimici presenti in natura si fonde con l’analisi degli objets trouvés che, come gli elementi minerali e vegetali, egli scompone e ricompone in agglomerati plastici la cui presenza muta sensibilmente la percezione del luogo che li accoglie sia sotto il profilo visivo che fisico. A tale scopo contribuiscono anche le modificazioni genetiche e strutturali dei materiali adottati che avvengono secondo logiche di autodeterminazione paragonabili a quelle della process art. L’artista, una volta compiuto il proprio intervento (disassemblaggio e riassemblaggio di un oggetto, scomposizione e ricomposizione della sostanza che lo determina) ne osserva lo svolgimento, lasciando che il tempo e la materia facciano la loro parte amplificando, così, gli effetti di quanto egli stesso ha già elaborato. Si fa così rapido il passaggio dalla cronaca (l’intervento dell’artista) alla fantasia (l’azione compiuta dalle leggi fisiche e chimiche a completamento del procedimento precedente).
La sequenza si apre con Cream (2018), acronimo di Cash Rules Everything Around Me, canzone del gruppo hip-hop di New York Wu-Tang Clan. La scultura è composta di monete fuse, i grosz. Il valore di mercato dell’impasto metallico è superiore a quello nominale delle monete impiegate e pari alla somma dei debiti accumulati dall’artista al momento della sua creazione. La materia ottenuta si presenta nella sua veste originale, irregolare, morbida come un impasto cremoso in linea con la personale reinterpretazione della poetica processuale da parte di Chorobski. Ne deriva una sagoma proteiforme che l’artista divide in due svelandone l’interno di grafite e ponendola in dialogo con lo spazio circostante che, virtualmente, la integra in forme sempre differenti, secondo il variare delle condizioni ambientali. Il dialogo con lo spazio si rinnova in 144150_1: 6 (2019), una scultura in acciaio e ottone il cui titolo trae origine nella prima parte dalla quantità di monete usate per crearla, 144150, nella seconda parte dal rapporto proporzionale stabilito con il luogo per il quale è stato originariamente concepito, del quale era più piccolo sei volte. Come fosse una scatola in costruzione, gli elementi che compongono il volume metallico vengono presentati singolarmente, sciolti lungo il percorso espositivo quasi a volerne mettere in luce la capacità espressiva indipendentemente dalla loro destinazione finale. Le composizioni plastiche High Windows (radiator, thermos filler glass) (2019) in acciaio, vetro e luce e After the thought of high windows (thermos filler glass, radiator) (2019), negli stessi materiali, rischiarano fiocamente lo spazio plasmandone i contorni visivi e completando idealmente il percorso che conduce alla project room.
Una struttura in legno (A Step Away – wood, 2020) pone il piano di calpestio di quest’ultima al livello dell’ambiente che la precede rispetto al quale è, invece, più bassa (come dimostra l’esistenza di una scala, occultata per l’occasione), modificandone sensibilmente la percezione. Sensazione, quest’ultima, enfatizzata ulteriormente dall’atmosfera work in progress che la domina, provocata in particolare dal pavimento in legno che, lasciato allo stato grezzo come quello di un cantiere, pone in dubbio se debba essere ancora completato o sia prossimo alla demolizione. Se si pensa poi alle proporzioni della superficie praticabile, piuttosto ridotte rispetto a quelle della sala precedente, e alla loro vera natura, ribassata come quella di un seminterrato, il senso di inquietudine aumenta, lasciando lo spettatore in una dimensione di sospesa ambiguità. Dalla penombra affiorano alcune opere. Il vasto ambiente che precede e si fonde con la project room accoglie 997,10/2 (2020), un’installazione il cui titolo deriva dalla somma del denaro, i grosz polacchi, fuso per creare delle colonne metalliche che raccordano il pavimento con il soffitto della stanza scandendone i volumi. Il valore delle monete corrisponde a quello fissato dall’Ufficio Nazionale di Statistica in Polonia come una soglia di povertà per due persone che vivono insieme; vale a dire, il costo mensile di cibo, alloggio, vestiti, medicine, igiene. La soglia di povertà è il livello più basso e allarmante per soddisfare le esigenze quotidiane, sotto la quale c’è rischio per la vita umana e le colonne in ottone ne costituiscono una ideale, per quanto drammatica, raffigurazione. Nella stessa stanza, tra la finestra e la griglia metallica che la protegge dall’esterno, si trova A Step Away (thermos, glass, light) (2020), un insieme di sculture realizzate con dei thermos, oggetti d’uso comune la cui funzione riconduce all’idea di calore e di conforto ribadita anche dalla loro stessa conformazione: smontati e tagliati i thermos vengono ricomposti dando luogo a sagome simili a quelle di involucri protettivi, dei bozzoli. La loro collocazione pone in dialogo la luce naturale proveniente dalla finestra con quella artificiale emessa dalle opere stesse elevando ulteriormente il grado di attonita precarietà già ampiamente duffuso. E che tocca il proprio culmine nel vano più piccolo aperto dove trova posto A Step Away (glass, light) (2020) un materasso antidecubito in vetro rinforzato da una griglia metallica. Al di sotto di esso è collocata una lampada che emette una luce debole, appena sufficiente a distinguere il fondo del manufatto da quello del piano su cui poggia rendendolo un tutt’uno con quest’ultimo e integrandolo del tutto allo spazio che l’ospita. Altrettanto fioca è la luce che proviene da After the thought of high windows (radiator,thermos filler glass) (2019) riscaldando l’ambiente d’una atmosfera dorata che, virtualmente, contribuisce a scolpire l’angusto vano. Oltre non vi è più nulla, se non la possibilità di riprendere il percorso nel senso opposto. In senso circolare, senza soluzione di continuità sottolineando ulteriormente la centralità dello spazio nel progetto dell’artista.
Vi invitiamo a prendere parte nella conversazione con Eduardo Secci Contemporary su:
Instagram _ @eduardoseccicontemporary @mateusz_chorobski @pierpaolopancotto
Facebook _ Eduardo Secci Contemporary / Mateusz Choróbski / Pier Paolo Pancotto
usando I seguenti hashtag:
#astepaway #mateuszchorobski #eduardosecci #pierpaolopancotto